Come non farsi spaventare dai risultati dei propri esami

RX, TC e Risonanze Magnetiche possono dare risultati inattesi e spesso preoccupanti: vediamo insieme di cosa c’è da avere paura e di cosa no. Di seguito una piccola guida – un how to – su come non farsi prendere dal panico e spaventare dai nostri esami.

Procedure di imaging come RX, TC, MR (risonanza magnetica) sono molto importanti per identificare condizioni patologiche come fratture, lesioni spinali, lussazioni etc. Tuttavia, spesso, ai risultati “clinicamente interessanti” si accompagnano numerosi risultati minori che non sono di alcun aiuto nello spiegare il sintomo che percepite. Non solo gran parte dei risultati di un esame diagnostico non sono affatto di aiuto, ma alcuni studi sostengono che questi possano essere addirittura dannosi da un punto di vista psicologico, creando inutili preoccupazioni, soprattutto quando compaiono parole come artrosi, degenerazioni discali, protrusioni discali (bulging), lesioni tendinee etc. 1,2,3

Di seguito vi elenchiamo i principali esiti di cui è bene essere a conoscenza per evitare preoccupazioni inutili.

 

 

Tratto cervicale:

Uno studio ha selezionato adulti ed anziani sani ed ha eseguito una risonanza magnetica su di loro, riscontrando che il 98% degli uomini e delle donne mostrava evidenze di “alterazioni degenerative” nei dischi del tratto cervicale.4
Un altro studio durato 10 anni ha comparato le risonanze magnetiche di persone sane con quelle di vittime di colpi di frusta. Sia nell’immediato che a 10 anni di distanza, entrambi i gruppi mostravano risultati simili, con 3/4 dei partecipanti che presentavano protrusioni discali.5

Conclusioni: Visto che la stragrande maggioranza degli adulti sani presenta degenerazioni cervicali (artrosi) e protrusioni discali, ciò significa che si tratta di normali processi di invecchiamento. Quindi, artrosi cervicale e protrusioni discali lievi/moderate non possono essere una spiegazione ragionevole del vostro dolore al collo, altrimenti il 98% delle persone dovrebbe soffrirne.

Tratto toracico:

Studi in risonanza magnetica di adulti sani senza alcuna storia di dolore dorsale o lombare hanno riscontrato come il 47% di loro soffrisse di degenerazione discale, il 53% di protrusioni discali ed il 58% mostrasse segni di lesioni discali nel tratto toracico. Cosa straordinaria, il 29% di questi adulti sani presentava una protrusione discale tale da deformarsi e premere contro il midollo spinale ma nessuno di loro ne era a conoscenza.6-7

Conclusioni:
Niente paura se i raggi o la risonanza magnetica che avete fatto mostrano “problemi” con i vostri dischi; possono essere semplicemente risultati comuni e normali,

 

 

Tratto Lombare:

Alcuni studi hanno mostrato come una degenerazione lombare discale sia presente nel 40% degli individui al di sotto dei 30 anni e nel 90% di quelli fra i 50 ed i 55 anni.8
Un altro studio ha mostrato che, fra i giovani adulti sani di età compresa fra i 20 ed i 22 anni senza dolore alla schiena, il 48% di loro aveva almeno un disco degenerato ed il 25% una protrusione discale.9

I medici a capo del dipartimento di neurochirurgia dell’università della California si sono schierati fortemente CONTRO l’uso di routine della risonanza magnetica nei casi di lombalgia, in quanto non hanno trovato ALCUNA CORRELAZIONE fra i cambiamenti degenerativi visti in RX o in risonanza magnetica e la lombalgia.10

Conclusioni:
Se i vostri raggi o la vostra risonanza mostrano “problemi” con i vostri dischi non dovete assolutamente preoccuparvi, possono essere normali cambiamenti che avvengono a partire dai 20 anni di età.

Anca:

Una revisione della letteratura scientifica ha individuato come vi sia solo una debole correlazione tra riduzione dello spazio articolare rilevato ai raggi X ed eventuali sintomi.11
Un altro studio infatti ha poi dimostrato come il 77% dei giocatori di hockey sani e senza alcun dolore presentassero in risonanza magnetica anomalie all’anca o al pube.12

Conclusioni:
Nessun panico se i vostri raggi o la vostra risonanza alle anche mostrano lesioni cartilaginee o diminuzione dello spazio; non è un segno di dolore o disabilità permanente.

Ginocchio:
Alcune ricerche hanno dimostrato come, se studiati ai raggi X, fino all’85% degli adulti senza alcun dolore al ginocchio avesse segni di artrosi. Questo significa che vi è una minima correlazione fra il grado di artrosi visto ai raggi ed il reale dolore.13
Un altro studio infatti ha mostrato come il 48% dei giocatori di basket in salute avessero delle “lesioni” ai menischi in RM.14

Conclusioni:
Nessuna paura se i vostri raggi o la vostra risonanza alle ginocchia mostrano segni di degenerazione, artrosi o lievi lesioni cartilaginee: sono segni assolutamente normali.

Caviglia:
Sebbene vi sia una correlazione tra fascite plantare e sperone calcaneare (o spina calcaneare), è altrettanto noto come il 32% delle persone senza dolore al piede o al tallone presenti uno sperone calcaneare visibile in RX.15

Conclusioni:
Un terzo della popolazione presenta una spina calcaneare ma non ha alcun dolore.

Spalla:
Studi tramite risonanza magnetica in adulti senza alcun dolore alla spalla hanno mostrato come il 20% di essi presentasse una lesione parziale della cuffia dei rotatori, mentre il 15% una lesione completa. In aggiunta, studiando persone dai 60 anni in su che non presentavano alcun dolore alle spalle né alcuna pregressa lesione, metà di loro (sì, il 50%) mostrava in RM una lesione della cuffia dei rotatori di cui non era assolutamente a conoscenza.16

Uno studio sui lanciatori professionisti nel baseball ha mostrato come, nonostante il 40% di loro mostrasse una lesione parziale o completa della cuffia dei rotatori, non avessero alcun dolore mentre giocavano e come, addirittura, rimanessero privi di dolore anche 5 anni dopo lo studio.17

Conclusioni:
Non preoccupatevi se l’ecografia alla vostra spalla (o la risonanza) mostrano una lesione alla cuffia dei rotatori; questa non è necessariamente associata a dolore.

 

 

Credits: APTEI (Advanced Physical Therapy Institute)

1 Kendrick D. et al. The role of radiography in primary care patients with low back pain of at least 6 weeks duration: a randomised (unblinded) controlled trial.
Health Technol Assess. 2001;5(30):1-69.
2 Ash LM et al., Effects of diagnostic information, per se, on patient outcomes in acute radiculopathy and low back pain. AJNR Am J Neuroradiol. 2008 Jun;29(6):1098-103
3 Modic MT et al., Acute Low Back Pain and Radiculopathy: MR Imaging Findings and Their Prognostic Role and Effect on Outcome Radiology. 2005 Nov;237(2):597-60
4 Okada E. et al., Disc degeneration of cervical spine on MRI in patients with lumbar disc herniation: comparison study with asymptomatic volunteers Eur Spine J. 2011 Apr; 20(4): 585–591
5 Matsumoto M et al., Prospective ten-year follow-up study comparing patients with whiplash-associated disorders and asymptomatic subjects using magnetic resonance imaging. Spine (Phila Pa 1976). 2010 Aug 15;35(18):1684-90
6 Matsumoto M et al., Age-related changes of thoracic and cervical intervertebral discs in asymptomatic subjects. Spine (Phila Pa 1976). 2010 Jun 15;35(14):1359-64
7 Wood KB et al., Magnetic resonance imaging of the thoracic spine. Evaluation of asymptomatic individuals. J Bone Joint Surg Am. 1995 Nov;77(11):1631-8
8 Cheung KM et al., Prevalence and pattern of lumbar magnetic resonance imaging changes in a population study of one thousand forty-three individuals Spine (Phila Pa 1976). 2009 Apr 20;34(9):934-40
9 Takatalo J. et al., Prevalence of degenerative imaging findings in lumbar magnetic resonance imaging among young adults. Spine (Phila Pa 1976). 2009 Jul 15;34(16):1716-21
10 Chou D et al., Degenerative magnetic resonance imaging changes in patients with chronic low back pain: a systematic review Spine (Phila Pa 1976). 2011 Oct 1;36(21 Suppl):S43-53
11 Chu Miow Lin D et al., Validity and responsiveness of radiographic joint space width metric measurement in hip osteoarthritis: a systematic review Osteoarthritis Cartilage. 2011 May;19(5):543-9
12 Silvis ML et al., High prevalence of pelvic and hip magnetic resonance imaging findings in asymptomatic collegiate and professional hockey players
Am J Sports Med. 2011 Apr;39(4):715-21
13 Bedson J et al., The discordance between clinical and radiographic knee osteoarthritis: a systematic search and summary of the literature BMC Musculoskelet Disord. 2008 Sep 2;9:116
14 Kaplan LD et al., Magnetic resonance imaging of the knee in asymptomatic professional basketball players. Arthroscopy. 2005 May;21(5):557-61
15 Johal KS et al., Plantar fasciitis and the calcaneal spur: Fact or fiction? Foot Ankle Surg. 2012 Mar;18(1):39-41
16 Sher JS et al., Abnormal findings on magnetic resonance images of asymptomatic shoulders. J Bone Joint Surg Am. 1995 Jan;77(1):10-5
17 Connor PM et al., Magnetic resonance imaging of the asymptomatic shoulder of overhead athletes: a 5-year follow-up study Am J Sports Med. 2003 Sep-Oct;31(5):724-7

L’abbigliamento compressivo funziona veramente?

Indossare abbigliamento compressivo può migliorare effettivamente la performance ed il recupero, o è solo una questione mentale? Questa è la domanda che è stata rivolta agli esperti.

Tutti gli atleti, dall’olimpionico al guerriero del fine settimana, hanno due obiettivi in comune: rendere il massimo possibile ed evitare infortuni.

L’abbigliamento compressivo si presenta con determinate caratteristiche: la capacità di migliorare la performance, accelerare il recupero dopo l’attività e diminuire il rischio di infortuni. Ma quanto di tutto questo corrisponde a verità?

Per scoprirlo vediamo quale è il parere autorevole di tre esperti del settore: James Broatch, dell’Australian Institute for Sport, attualmente portavoce di un brand di equipaggiamenti compressivi, Roger Kelly, fisioterapista e professore associato in fisioterapia e scienze riabilitative all’università di Nottingham, ed Ed Kerry, allenatore di corridori e atleta di endurance che sta al momento tentando di coprire 1000 miglia in 22 giorni correndo fra le quattro capitali inglesi, oltre che a Nick Harris-Fry, allenatore, blogger ed estraneo al mondo degli indumenti compressivi.

 

 

James Broatch: Australian Institute for sport ed esaminatore di indumenti compressivi

Sì, funziona. La compressione è tradizionalmente utilizzata in medicina per il trattamento di numerose problematiche circolatorie, fra cui linfedema (gonfiore solitamente di braccia o gambe), embolia polmonare (blocco di un’arteria nei polmoni) e trombosi venosa profonda. Recenti ricerche hanno anche riportato come la compressione sia efficace nel migliorare la performance muscolare ed il recupero.

Per esempio, una ricerca indipendente condotta dall’Australian Institute of Sport insieme ad altre istituzioni ha mostrato come gli indumenti compressivi migliorino la performance nella corsa e nella bici, diminuendo la quantità di acido lattico e migliorando l’economia della corsa.

In più, la compressione è stata riportata come migliorativa di numerosi aspetti del recupero post esercizio – fra cui il recupero della forza e della potenza muscolare – e capace di ridurre lo stato infiammatorio provocato dal danneggiamento del tessuto.

Sebbene il meccanismo preciso ancora non sia ben noto, si pensa che questi benefici siano associati alla migliore circolazione, alla migliore percezione del proprio corpo, alla ridotta vibrazione dei muscoli, così come al ridotto edema locale e al minore dolore post allenamento.

 

Fisioterapia e riabilitazione Fisiomedticino

 

Roger Kerry: professore associato, divisione di fisioterapia e scienze riabilitative presso l’Università di Nottingham

Alcune evidenze scientifiche supportano una percepita riduzione del fastidio post allenamento ed una ridotta diminuzione del tempo di recupero con l’uso di calze compressive durante l’attività e nelle 24 ore seguenti. Tuttavia le attuali evidenze stentano ancora a supportare l’idea che migliorino la performance o riducano la probabilità di infortuni.

Ogni effetto terapeutico è probabilmente dato da fattori psicologici, piuttosto che fisiologici.

Alcuni brand propongono calze compressive a pressione variata: più strette sulla caviglia e più larghe sotto al ginocchio o all’anca, così che il sangue sia facilitato nel risalire verso l’alto. Tuttavia alcuni studi hanno dimostrato che ogni effetto compressivo si va a perdere dopo cinque minuti di esercizio e che gli effetti, paragonati a calzature non compressive, sono gli stessi.

La migliore spiegazione per tutto questo risiede nel fatto che, probabilmente, gli effetti dipendono più da un effetto placebo che dal diverso gradiente compressivo. Sotto molti aspetti questo va comunque bene: fintanto che vengono percepiti dei benefici, il meccanismo che li genera non è più così importante.

Come avviene per molti altri oggetti progettati e venduti per migliorare la performance fisica, non vi è alcun danno nell’usarli, quindi provarli può assolutamente valerne la pena, sempre considerando il rapporto con il prezzo dell’oggetto stesso.

Soprattutto, non bisogna dimenticare che il provare nuovi oggetti non deve far perdere il senso di ciò che è veramente importante per prevenire infortuni e migliorare la performance in un atleta, ovvero un allenamento adeguato ed un sufficiente tempo di recupero.

 

Ed Kerry: allenatore di runner

Come ultramaratoneta e allenatore di corridori, spesso mi viene chiesto se l’abbigliamento compressivo funzioni realmente; solitamente scompongo la domanda in due punti: allenamento e recupero.

Per quanto riguarda la corsa sono stati eseguiti studi che hanno mostrato un lieve miglioramento nella soglia aerobica e nella quantità massima di ossigeno utilizzabile nei corridori. Secondo me, tuttavia, questo miglioramento non è tale da giustificare l’acquisto.

Personalmente, ho provato le calze e non ho notato alcun miglioramento massivo.

Riguardo al recupero, invece, sono molto più incline a consigliare un abbigliamento compressivo. Ho notato come questo aiuti il mio recupero consentendomi di aumentare la quantità di miglia corse il giorno seguente, presumibilmente grazie al migliorato afflusso sanguigno. Potrebbe anche essere solo parte dell’effetto placebo, ma personalmente mi sono sentito meglio e il giorno seguente mi sono allenato con maggior successo.

 

Nick Harris-Fry: Allenatore, blogger

Ho provato ad indossare abbigliamento compressivo sia durante la corsa che successivamente, per velocizzare il recupero. Sebbene non abbia notato grossi miglioramenti in termini di performance, ho deciso di continuare ad usarlo regolarmente dopo l’attività per accelerare il recupero.

Su di me ha funzionato molto bene in termini di recupero e, sebbene non possa escludere che sia colpa dell’effetto placebo, la percezione era quella che stesse attivamente “curando” le mie gambe. Non ho intenzione di ignorare qualcosa che mi aiuti a correre meglio, quindi, placebo o no, continuerò ad indossarlo dopo gli allenamenti.

 

Noi di Fisiomed Ticino vi consigliamo di provare personalmente per poter sperimentare, e capire, se è un approccio che fa per voi oppure no. Sebbene le evidenze scientifiche non supportino una reale efficacia ciò non significa che l’abbigliamento compressivo non abbia effetto: spesso l’esperienza empirica anticipa di molto le reali prove di efficacia.

 

Fonte: CoachMag.co.uk

Cosa Fare per combattere la sindrome del tunnel carpale

Avvertite fastidio, formicolio, dolore al polso e alla mano la notte oppure dopo ore di lavoro al computer? Non è un buon segno ma se seguirete questi semplici passi eviterete che si trasformi in un problema più grave.

La sindrome del tunnel carpale è una condizione che interessa il nervo mediano e causa dolore alla mano, formicolii e riduzione della sensibilità principalmente su pollice, indice, medio e parzialmente sull’anulare. Questo tunnel, formato dalle ossa del polso e ricoperto dal legamento traverso del carpo, ospita, oltre a vasi e tendini, il passaggio del nervo mediano, che controlla le dita elencate sopra.

 

 

Talvolta attività ripetitive come scrivere su una tastiera, utilizzare strumentazione che vibra (come un martello pneumatico) o anche solo l’utilizzo prolungato del telefono possono causare un restringimento di questo passaggio, che compromette la capacità del nervo di inviare informazioni alla mano.

Molte delle attività che sono la causa dell’insorgenza del tunnel carpale sono spesso azioni che vengono compiute quotidianamente, quindi è difficile, se non impossibile, sospenderle. È meglio giocare d’anticipo e prevenire il loro manifestarsi e combattere i primi sintomi appena questi compaiono.

Ecco alcuni consigli per evitare l’insorgere della sindrome del tunnel carpale:

  • Evitate tutte quelle attività che portano il polso a “fine corsa” di flessione o di estensione. Queste posizioni di solito aggravano la sintomatologia, in quanto aumentano la pressione all’interno del tunnel e dovrebbero essere evitate, là dove possibile.
  • Proprio come i muscoli anche i nervi necessitano di manutenzione. Fare stretching e mobilizzare il nervo mediano è un modo eccellente per mantenerlo libero di muoversi senza restrizioni.

 

 

Automobilizzazioni:

  • Alzate il braccio lateralmente portando la mano all’altezza della spalla e mantenendo il gomito disteso.
  • Flettete il polso verso il basso e, contemporaneamente, ruotate la testa dalla parte opposta e piegala in avanti
  • Mantenete la posizione per 3-4 secondi
  • Piegate il gomito e portate la mano a toccare la spalla mentre, contemporaneamente, ruotate la testa verso la mano, come a guardarla
  • Ripetete 5-6 volte
  • Posizionate entrambe le braccia distese davanti a voi, con il palmo rivolto verso il basso.
  • Estendete entrambi i polsi e le dita senza piegare i gomiti.
  • Lentamente spingete in avanti come se voleste allontanare le mani il più possibile
  • Interrompete le attività ripetitive; purtroppo queste, che spesso coinvolgono la scrittura o la prensione, possono diventare la vostra spina nel fianco: cercate di concedervi delle brevi pause
  • Chiedete aiuto ad un professionista. La terapia manuale si è dimostrata molto efficace nel ridurre gli effetti della sindrome del tunnel carpale: spesso i nervi possono rimanere compressi dalla muscolatura del collo o da quella del braccio. Cercare di rilasciare il nervo dalle limitazioni è un ottimo modo per assicurarsi che stia scorrendo nel migliore dei modi.

 

 

La sindrome del tunnel carpale si può prevenire cercando di ridurre al minimo possibile i gesti, spesso quotidiani, che stanno alla base della sua insorgenza. Gli esercizi che abbiamo indicato in questo articolo vi aiuteranno, nel momento in cui “scoprirete” di essere vittime di questo comune fastidio, ad alleviare il dolore e tornare ad una condizione di normalità. Se tuttavia il colore dovesse persistere vi potete mettere in contatto con noi, oppure passare a trovarci nel nostro centro vicino a Lugano.

Come sedersi correttamente alla scrivania

Può capitare che uno stile di vita sedentario ci porti a trascorrere una buona parte del tempo seduti alla scrivania o su un divano: in questa situazione siamo maggiormente a rischio di sviluppare problematiche al tratto lombare. Per questo è importante sapere come sedersi correttamente, per evitare lombalgie o generalmente dolori alla schiena.

Molte persone trascorrono una grande quantità di ore sedute alternando a qualche minuto di postura corretta, svariate ore di malposizionamenti di solito con il tratto lombare appiattito.

Sedersi in maniera scorretta crea dei compensi impropri, causa un uso inefficiente della muscolatura e comprime i dischi intervertebrali. Queste posture disfunzionali possono andare ad influenzare negativamente la stazione eretta e gli schemi di movimento, avendo così un effetto deleterio sulla condizione di salute.

 

 

Solitamente si consiglia di alternare a lunghi periodi di lavoro di scrivania delle brevi camminate: per quanto sembri facile, chiunque abbia mai lavorato in un ufficio sa bene quanto in realtà spesso possa essere difficile staccare dall’attività, senza menzionare come possa essere alquanto noioso spendere numerosi minuti ogni giorno camminando su e giù per i corridoi dell’ufficio.

Come fare quindi?

La migliore alternativa consiste nel mantenere, per la maggior parte possibile del tempo, una postura corretta mentre si lavora. E ciò è difficilissimo.

Per quanto possa sembrare banale mantenere un corretto allineamento all’inizio è incredibilmente difficile: questo perché il nostro cervello è progettato per ricercare sempre la posizione non dolente da mantenere e, insieme, più energicamente economica da mantenere.

Questo significa che inizialmente saremo in grado di sederci correttamente solo finché penseremo a mantenere quella posizione; non appena distoglieremo l’attenzione (per lavorare, ad esempio), il corpo tenderà a tornare all’atteggiamento più comodo.

Si rende necessario quindi lavorare per step, andando piano piano a “riprogrammare” il cervello sulla postura da ricercare in automatico.

  • Provate a sedervi comodamente su una sedia. Molto probabilmente per stare comodi sarete lievemente piegati in avanti, con la schiena interamente flessa in avanti.
  • Da questa posizione provate a portare indietro il sedere ed avanti il torace, anche esagerando il movimento e andando ad inarcare la parte alta della schiena.
  • Ora che siete sufficientemente scomodi, lentamente rilassate la porzione più alta della schiena finché non vi sentirete allineati, con la schiena dritta dal sedere fino alle spalle.

Questa è la posizione che dovrete cercare di mantenere: per aiutarvi, una volta assunta questa posizione, aggiustate tutta la vostra postazione lavorativa conseguentemente (computer, altezza della scrivania, documenti etc.).

 

 

Non è affatto semplice mantenere questa posizione, ma sarà nettamente più facile una volta che avrete posizionato correttamente il bacino seguendo gli step presentati sopra.

Seguire queste semplici regole vi aiuterà ad evitare fastidiosi dolori lombari che potrebbero influire negativamente sulla qualità della vostra vita. Si tratta di piccole abitudini che potranno portare grandi vantaggi per la vostra salute.

Se senti dolore è il tuo corpo che cerca di dirti qualcosa, non ignorarlo!

Nel nostro lavoro di terapisti capita spesso di chiedere ai nostri pazienti perché hanno aspettato hanno aspettato così tanto prima di farsi visitare. Tuttavia è estremamente comune attendere che il dolore ci blocchi prima di cercare aiuto. Vediamo perché è meglio non aspettare così tanto.

Un errore comune consiste nel credere che il dolore sia il solo indicatore di qualcosa che non va nel nostro corpo, e che senza di esso l’intero nostro organismo funzioni alla perfezione. Sarebbe fantastico se ciò fosse vero, ma la realtà è invece molto differente.

Il problema di questa idea è il supporre che tutto sia o bianco o nero: che vi sia solamente uno stato di salute o di malattia, senza nessuna zona grigia fra i due.

 

 

Il nostro corpo vive e si muove in un continuum dove, fatta eccezione per i traumi (una distorsione di caviglia durante una camminata, uno strappo muscolare durante uno scatto solo per nominarne alcuni), vi è un grande spazio fra la presenza di dolore e la sua assenza: il nostro corpo è in grado di sopportare situazioni di funzionamento non ottimale per lungo tempo prima di cedere al fastidio e poi al dolore.

Provate ad immaginarla in questo modo: state camminando in montagna e notate che i vostri scarponi si sono usurati e che andrebbero risuolati. Decidete comunque di continuare la passeggiata e sulla via del ritorno, dopo svariate ore in giro fra boschi e rocce, notate come le suole siano ulteriormente peggiorate e vadano decisamente fatte sistemare. Arrivate a casa, le riponete nella scarpiera ed andate a dormire, sperando che magicamente al vostro risveglio siano tornate come erano al mattino, se non meglio. Le scarpe la mattina dopo non si saranno risuolate da sole e, se non fate niente per aggiustarle, le prossime volte le ritroverete nelle stesse condizioni. La medesima cosa accade, in linea di massima e nei limiti di questa metafora, al nostro corpo.

Dipende da voi quando, nel passaggio dal benessere al dolore, decidere di occuparvene; considerate sempre che, come spesso accade, più si aspetta ad intervenire maggiore sarà il danno.

 

 

Per questa ragione vi sono molti modi per capire se la vostra spalla o il vostro ginocchio sono in perfette condizioni o meno, pronti a sopportare qualunque attività, oppure se hanno già qualche problema, che si manifesterà ampiamente non appena li metterete sotto sforzo.

Una spalla bloccata dal dolore è una spalla che ha mandato dei segnali per un certo periodo di tempo, che spesso vengono semplicemente ignorati pensando che alcuni fastidi possano sparire spontaneamente. Purtroppo invece, come spesso accade, i problemi si accumulano, diventando più impegnativi da gestire, lasciandovi col pensiero: “se solo me ne fossi curato prima, quando ancora non era così grave”.

Quindi se avvertite un dolore sospetto di cui non conoscete l’origine evitate di trascinarvelo dietro per un lungo periodo di tempo, riparare un danno può essere semplice se questo viene preso in tempo, perché aspettare troppo significa ridurre le percentuali di successo di una pronta e rapida guarigione.