Fisioterapia e fisioterapista, cos’è e cosa fanno?

Quando ci chiedono che lavoro facciamo, alla risposta “sono un fisioterapista” la prima reazione, che sia verbalmente esplicitata o meno, è: “ok, quindi fai i massaggi”.

Assolutamente no. O meglio: non solo. La professione del fisioterapista è più complessa e, per fortuna, variegata.

La fisioterapia, negli ultimi 10 anni, ha visto una crescita esponenziale (siamo passati da circa 5000 pubblicazioni scientifiche nel 2000 a 10000 nel 2010 fino alle oltre 16000 del 2016). Questo è successo grazie, da un lato, all’avanzare della ricerca ed a mezzi di cura più efficaci e, dall’altro, ad una base scientifica composta da ragionamento clinico ed evidenze sempre più solide e corpose.

Tutto questo, tuttavia, non sempre ha un riscontro diretto nella pratica clinica, ed è ancora fortemente radicata un’idea di trattamento vecchia di molti anni.

Non inefficace, semplicemente non la più efficace.

 

Ma di cosa si occupa, quindi, il fisioterapista?

Al momento, se prendiamo come esempio l’Inghilterra, dove la professione è fortemente rappresentata ed all’avanguardia in Europa, è possibile contare per la professione numerosi rami di specializzazione post laurea.

 

 

Riabilitazione ortopedica:

Fin qui nulla di nuovo; la branca più nota ed inflazionata della fisioterapia si occupa del trattamento delle problematiche del sistema muscolo—scheletrico. Lombalgie, esiti di traumi e di interventi chirurgici, lesioni muscolari, tendiniti e chi più ne ha più ne metta.

 

Fisioterapia sportiva:

Innanzitutto è necessario premettere che non si tratta di un semplice ramo della branca precedente. I fisioterapisti specializzati in riabilitazione sportiva non si limitano a trattare i traumi riportati dagli atleti, ma hanno una profonda conoscenza di numerosi tipi di sport e di quali problematiche possono più frequentemente insorgere in ciascuno di essi. In questo ambito, lo scopo finale non è solo la guarigione, ma il ritorno ad una performance atletica uguale o il più vicina possibile a quella precedente alla lesione.

 

 

Riabilitazione pediatrica:

E già qui in molti penseranno: “Wow, non l’avevo mai considerata!”. E invece esiste, ed è un’area tanto ampia quanto complessa del nostro lavoro.

I fisioterapisti che sono specializzati in questo ramo trattano neonati, bambini ed adolescenti affetti sia da patologie ortopediche che neurologiche tipiche dell’età evolutiva; come ad esempio: paralisi cerebrale infantile, spina bifida, difetti congeniti e ritardi di sviluppo, torcicollo e piede torto.

 

Riabilitazione geriatrica:

Specializzata nel trattare la fetta più anziana della popolazione, questa branca si occupa di migliorare l’aspettativa e la qualità della vita degli anziani, aiutandoli a mantenere uno stile di vita sano, preservandone l’attività e preparandoli alle sfide che l’invecchiamento riserverà loro.

 

Riabilitazione uro-ginecologica:

Assolutamente sconosciuta ai più, questa specializzazione si occupa dei disordini del pavimento pelvico come incontinenza, prolassi, costipazione e dolore pelvico sia nell’uomo che nella donna, siano essi insorti in seguito ad una gravidanza, con l’avanzare degli anni o con un intervento chirurgico.

 

Riabilitazione oncologica:

In che modo il trattamento fisioterapico può avere peso all’interno delle cure oncologiche? In molti modi in realtà: può accelerare ed ottimizzare il recupero dopo la chirurgia, può aiutare a risolvere gli edemi e linfedemi che si vanno a formare in periferia, aiutare a combattere la tossicità dei farmaci chemioterapici oltre che andare a migliorare l’elasticità e la funzionalità dei tessuti sottoposti (o in fase di esposizione) alla radioterapia.

 

Riabilitazione cardiorespiratoria:

“Riabilitazione respiratoria? E quando mai serve riabilitare la respirazione?”. Purtroppo nei casi in cui la produzione di muco sia eccessiva e tale da rendere impossibile respirare normalmente o quando i polmoni non sono sufficientemente elastici per espandersi. BPCO, fibrosi polmonare e fibrosi cistica sono solo alcune delle patologie trattate.

 

Riabilitazione neurologica:

Ultimo ma non per importanza, coloro che si dedicano a questo ambito sono preparati ad affrontare le sfide, non solo pratiche ma anche emotive, che comporta il lavorare con pazienti colpiti da patologie quali: ictus, lesioni midollari, patologie neurodegenerative sia centrali che periferiche.

Quella che abbiamo visto in questo articolo è solo una rapida panoramica delle possibilità che si hanno all’interno della nostra professione; prossimamente affronteremo più nel dettaglio le terapie che vi possono essere state proposte, delle quali avete sentito parlare o, in alcuni casi, di altre di cui nemmeno sospettavate l’esistenza.

 

Come mai tutto questo?

Prima di tutto perché riteniamo che sia importante informare coloro che usufruiscono dei nostri servizi e del ventaglio di opzioni terapeutiche che possono richiedere al proprio fisioterapista. Poi per fare chiarezza su cosa possiamo trattare e cosa no, e per avere un’idea se una terapia a cui ci siamo sottoposti risponde a standard qualitativi consoni. Infine speriamo di stimolare i nostri colleghi ad approfondire branche di studio magari meno note o sottovalutate.

Referenze: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=physical+therapy

Preso un brutto colpo di frusta? Ecco cosa fare

Negli ultimi anni i colpi di frusta sono diventati estremamente frequenti, anche a causa del sempre maggior tempo trascorso in auto. Vediamo cosa è di preciso e cosa possiamo fare per alleviarne i sintomi.

Cosa è un colpo di frusta? Molto spesso ignoriamo perfino cosa sia di preciso finchè non lo sperimentiamo sulla nostra pelle. Le cause possono essere innumerevoli: un incidente stradale, un trauma sportivo o un semplice scivolone, ma quello che tutte hanno in comune è il dolore e le difficoltà che esso causa e che difficilmente si dimenticano.

Quando si parla di colpo di frusta, facciamo riferimento ad un trauma che causa un brusco movimento della colonna cervicale; ciò può avvenire durante un incidente stradale, in un placcaggio durante una partita di rugby, ma anche con il semplice contraccolpo che si crea nello scendere le scale quando manchiamo uno scalino con il piede.

 

Colpo di frusta collo

colpo di frusta mal di collo

 

 

I sintomi più frequenti sono dolore localizzato e sensazioni come formicolio, caldo o freddo, o alterata sensibilità alle braccia o alle gambe; la severità di queste manifestazioni solitamente non è direttamente collegata all’entità del trauma, in quanto spesso subentrano numerose altre variabili, quali ad esempio:

  • problematiche pregresse al tratto cervicale:

se il vostro collo già vi stava mandando segnali di sofferenza prima del trauma, probabilmente quest’ultimo potrà avere esiti peggiori.

  • consapevolezza o meno del trauma in arrivo:

riuscire a vedere la macchina in arrivo prima che vi urti o accorgersi in anticipo del trauma imminente consente al corpo di prepararsi rapidamente ad assorbire e dissipare l’energia con le strutture muscolari, contraendole, evitando (o attenuando) così lo stress sui legamenti.

  • grado di attività fisica:

come nella stragrande maggioranza dei casi, avere un corpo allenato e reattivo consente di rispondere meglio al trauma, grazie ad un più efficiente scarico delle forze e ad una migliore elasticità muscolare.

Ma quando ormai il trauma è avvenuto, cosa potete fare per attenuarne i sintomi?

  • Fate degli impacchi caldi:

il caldo infatti aiuta la muscolatura a rilasciarsi, diminuendo così il dolore e lo spasmo muscolare.

 

Colpo di frusta torsione

 

  • Mantenetevi attivi:

sicuramente state provando molto dolore, e la cosa che vi verrebbe più naturale fare sarebbe distendervi sul divano e riposarvi finché questo dolore non cesserà. Questa non è la soluzione migliore: numerosi studi hanno dimostrato come, soprattutto nel primo periodo dopo il trauma, sia essenziale continuare a mantenere un minimo di attività. Il riposo e l’immobilità tendono a prolungare la permanenza del dolore: sforzatevi quindi di muovere il collo nelle vostre attività quotidiane, anche solo nei pochissimi gradi liberi che avete.

Automobilizzazioni:

se muoversi aiuta, allungare i muscoli che vi causano dolore è indispensabile per recuperare rapidamente:

  • mantenendo lo sguardo fisso davanti a voi, inclinate la testa lateralmente finché vi è possibile
  • appoggiate la mano sulla nuca dalla parte opposta alla direzione in cui state inclinando ed aiutatevi a scendere ulteriormente

 

colpo di frusta soluzioni

 

  • mantenete la posizione per 30” circa, ritornate lentamente centrali e ripetete dall’altro lato per un totale di 3-5 volte.

È normale che sentiate un po’ di dolore durante l’esecuzione, così come talvolta lievi formicoli alle mani; se però questi sintomi fossero eccessivi, interrompete l‘attività e riprovate solo successivamente.

È stato visto come traumi anche banali possano continuare a creare limitazioni e dolore anche a distanza di molti anni: per questo motivo è sempre bene, dopo un evento del genere, farsi controllare dal proprio terapista, in modo tale da essere indirizzati verso l’iter più corretto per voi.

L’abbigliamento compressivo funziona veramente?

Indossare abbigliamento compressivo può migliorare effettivamente la performance ed il recupero, o è solo una questione mentale? Questa è la domanda che è stata rivolta agli esperti.

Tutti gli atleti, dall’olimpionico al guerriero del fine settimana, hanno due obiettivi in comune: rendere il massimo possibile ed evitare infortuni.

L’abbigliamento compressivo si presenta con determinate caratteristiche: la capacità di migliorare la performance, accelerare il recupero dopo l’attività e diminuire il rischio di infortuni. Ma quanto di tutto questo corrisponde a verità?

Per scoprirlo vediamo quale è il parere autorevole di tre esperti del settore: James Broatch, dell’Australian Institute for Sport, attualmente portavoce di un brand di equipaggiamenti compressivi, Roger Kelly, fisioterapista e professore associato in fisioterapia e scienze riabilitative all’università di Nottingham, ed Ed Kerry, allenatore di corridori e atleta di endurance che sta al momento tentando di coprire 1000 miglia in 22 giorni correndo fra le quattro capitali inglesi, oltre che a Nick Harris-Fry, allenatore, blogger ed estraneo al mondo degli indumenti compressivi.

 

 

James Broatch: Australian Institute for sport ed esaminatore di indumenti compressivi

Sì, funziona. La compressione è tradizionalmente utilizzata in medicina per il trattamento di numerose problematiche circolatorie, fra cui linfedema (gonfiore solitamente di braccia o gambe), embolia polmonare (blocco di un’arteria nei polmoni) e trombosi venosa profonda. Recenti ricerche hanno anche riportato come la compressione sia efficace nel migliorare la performance muscolare ed il recupero.

Per esempio, una ricerca indipendente condotta dall’Australian Institute of Sport insieme ad altre istituzioni ha mostrato come gli indumenti compressivi migliorino la performance nella corsa e nella bici, diminuendo la quantità di acido lattico e migliorando l’economia della corsa.

In più, la compressione è stata riportata come migliorativa di numerosi aspetti del recupero post esercizio – fra cui il recupero della forza e della potenza muscolare – e capace di ridurre lo stato infiammatorio provocato dal danneggiamento del tessuto.

Sebbene il meccanismo preciso ancora non sia ben noto, si pensa che questi benefici siano associati alla migliore circolazione, alla migliore percezione del proprio corpo, alla ridotta vibrazione dei muscoli, così come al ridotto edema locale e al minore dolore post allenamento.

 

Fisioterapia e riabilitazione Fisiomedticino

 

Roger Kerry: professore associato, divisione di fisioterapia e scienze riabilitative presso l’Università di Nottingham

Alcune evidenze scientifiche supportano una percepita riduzione del fastidio post allenamento ed una ridotta diminuzione del tempo di recupero con l’uso di calze compressive durante l’attività e nelle 24 ore seguenti. Tuttavia le attuali evidenze stentano ancora a supportare l’idea che migliorino la performance o riducano la probabilità di infortuni.

Ogni effetto terapeutico è probabilmente dato da fattori psicologici, piuttosto che fisiologici.

Alcuni brand propongono calze compressive a pressione variata: più strette sulla caviglia e più larghe sotto al ginocchio o all’anca, così che il sangue sia facilitato nel risalire verso l’alto. Tuttavia alcuni studi hanno dimostrato che ogni effetto compressivo si va a perdere dopo cinque minuti di esercizio e che gli effetti, paragonati a calzature non compressive, sono gli stessi.

La migliore spiegazione per tutto questo risiede nel fatto che, probabilmente, gli effetti dipendono più da un effetto placebo che dal diverso gradiente compressivo. Sotto molti aspetti questo va comunque bene: fintanto che vengono percepiti dei benefici, il meccanismo che li genera non è più così importante.

Come avviene per molti altri oggetti progettati e venduti per migliorare la performance fisica, non vi è alcun danno nell’usarli, quindi provarli può assolutamente valerne la pena, sempre considerando il rapporto con il prezzo dell’oggetto stesso.

Soprattutto, non bisogna dimenticare che il provare nuovi oggetti non deve far perdere il senso di ciò che è veramente importante per prevenire infortuni e migliorare la performance in un atleta, ovvero un allenamento adeguato ed un sufficiente tempo di recupero.

 

Ed Kerry: allenatore di runner

Come ultramaratoneta e allenatore di corridori, spesso mi viene chiesto se l’abbigliamento compressivo funzioni realmente; solitamente scompongo la domanda in due punti: allenamento e recupero.

Per quanto riguarda la corsa sono stati eseguiti studi che hanno mostrato un lieve miglioramento nella soglia aerobica e nella quantità massima di ossigeno utilizzabile nei corridori. Secondo me, tuttavia, questo miglioramento non è tale da giustificare l’acquisto.

Personalmente, ho provato le calze e non ho notato alcun miglioramento massivo.

Riguardo al recupero, invece, sono molto più incline a consigliare un abbigliamento compressivo. Ho notato come questo aiuti il mio recupero consentendomi di aumentare la quantità di miglia corse il giorno seguente, presumibilmente grazie al migliorato afflusso sanguigno. Potrebbe anche essere solo parte dell’effetto placebo, ma personalmente mi sono sentito meglio e il giorno seguente mi sono allenato con maggior successo.

 

Nick Harris-Fry: Allenatore, blogger

Ho provato ad indossare abbigliamento compressivo sia durante la corsa che successivamente, per velocizzare il recupero. Sebbene non abbia notato grossi miglioramenti in termini di performance, ho deciso di continuare ad usarlo regolarmente dopo l’attività per accelerare il recupero.

Su di me ha funzionato molto bene in termini di recupero e, sebbene non possa escludere che sia colpa dell’effetto placebo, la percezione era quella che stesse attivamente “curando” le mie gambe. Non ho intenzione di ignorare qualcosa che mi aiuti a correre meglio, quindi, placebo o no, continuerò ad indossarlo dopo gli allenamenti.

 

Noi di Fisiomed Ticino vi consigliamo di provare personalmente per poter sperimentare, e capire, se è un approccio che fa per voi oppure no. Sebbene le evidenze scientifiche non supportino una reale efficacia ciò non significa che l’abbigliamento compressivo non abbia effetto: spesso l’esperienza empirica anticipa di molto le reali prove di efficacia.

 

Fonte: CoachMag.co.uk

Cosa Fare per combattere la sindrome del tunnel carpale

Avvertite fastidio, formicolio, dolore al polso e alla mano la notte oppure dopo ore di lavoro al computer? Non è un buon segno ma se seguirete questi semplici passi eviterete che si trasformi in un problema più grave.

La sindrome del tunnel carpale è una condizione che interessa il nervo mediano e causa dolore alla mano, formicolii e riduzione della sensibilità principalmente su pollice, indice, medio e parzialmente sull’anulare. Questo tunnel, formato dalle ossa del polso e ricoperto dal legamento traverso del carpo, ospita, oltre a vasi e tendini, il passaggio del nervo mediano, che controlla le dita elencate sopra.

 

 

Talvolta attività ripetitive come scrivere su una tastiera, utilizzare strumentazione che vibra (come un martello pneumatico) o anche solo l’utilizzo prolungato del telefono possono causare un restringimento di questo passaggio, che compromette la capacità del nervo di inviare informazioni alla mano.

Molte delle attività che sono la causa dell’insorgenza del tunnel carpale sono spesso azioni che vengono compiute quotidianamente, quindi è difficile, se non impossibile, sospenderle. È meglio giocare d’anticipo e prevenire il loro manifestarsi e combattere i primi sintomi appena questi compaiono.

Ecco alcuni consigli per evitare l’insorgere della sindrome del tunnel carpale:

  • Evitate tutte quelle attività che portano il polso a “fine corsa” di flessione o di estensione. Queste posizioni di solito aggravano la sintomatologia, in quanto aumentano la pressione all’interno del tunnel e dovrebbero essere evitate, là dove possibile.
  • Proprio come i muscoli anche i nervi necessitano di manutenzione. Fare stretching e mobilizzare il nervo mediano è un modo eccellente per mantenerlo libero di muoversi senza restrizioni.

 

 

Automobilizzazioni:

  • Alzate il braccio lateralmente portando la mano all’altezza della spalla e mantenendo il gomito disteso.
  • Flettete il polso verso il basso e, contemporaneamente, ruotate la testa dalla parte opposta e piegala in avanti
  • Mantenete la posizione per 3-4 secondi
  • Piegate il gomito e portate la mano a toccare la spalla mentre, contemporaneamente, ruotate la testa verso la mano, come a guardarla
  • Ripetete 5-6 volte
  • Posizionate entrambe le braccia distese davanti a voi, con il palmo rivolto verso il basso.
  • Estendete entrambi i polsi e le dita senza piegare i gomiti.
  • Lentamente spingete in avanti come se voleste allontanare le mani il più possibile
  • Interrompete le attività ripetitive; purtroppo queste, che spesso coinvolgono la scrittura o la prensione, possono diventare la vostra spina nel fianco: cercate di concedervi delle brevi pause
  • Chiedete aiuto ad un professionista. La terapia manuale si è dimostrata molto efficace nel ridurre gli effetti della sindrome del tunnel carpale: spesso i nervi possono rimanere compressi dalla muscolatura del collo o da quella del braccio. Cercare di rilasciare il nervo dalle limitazioni è un ottimo modo per assicurarsi che stia scorrendo nel migliore dei modi.

 

 

La sindrome del tunnel carpale si può prevenire cercando di ridurre al minimo possibile i gesti, spesso quotidiani, che stanno alla base della sua insorgenza. Gli esercizi che abbiamo indicato in questo articolo vi aiuteranno, nel momento in cui “scoprirete” di essere vittime di questo comune fastidio, ad alleviare il dolore e tornare ad una condizione di normalità. Se tuttavia il colore dovesse persistere vi potete mettere in contatto con noi, oppure passare a trovarci nel nostro centro vicino a Lugano.

Come sedersi correttamente alla scrivania

Può capitare che uno stile di vita sedentario ci porti a trascorrere una buona parte del tempo seduti alla scrivania o su un divano: in questa situazione siamo maggiormente a rischio di sviluppare problematiche al tratto lombare. Per questo è importante sapere come sedersi correttamente, per evitare lombalgie o generalmente dolori alla schiena.

Molte persone trascorrono una grande quantità di ore sedute alternando a qualche minuto di postura corretta, svariate ore di malposizionamenti di solito con il tratto lombare appiattito.

Sedersi in maniera scorretta crea dei compensi impropri, causa un uso inefficiente della muscolatura e comprime i dischi intervertebrali. Queste posture disfunzionali possono andare ad influenzare negativamente la stazione eretta e gli schemi di movimento, avendo così un effetto deleterio sulla condizione di salute.

 

 

Solitamente si consiglia di alternare a lunghi periodi di lavoro di scrivania delle brevi camminate: per quanto sembri facile, chiunque abbia mai lavorato in un ufficio sa bene quanto in realtà spesso possa essere difficile staccare dall’attività, senza menzionare come possa essere alquanto noioso spendere numerosi minuti ogni giorno camminando su e giù per i corridoi dell’ufficio.

Come fare quindi?

La migliore alternativa consiste nel mantenere, per la maggior parte possibile del tempo, una postura corretta mentre si lavora. E ciò è difficilissimo.

Per quanto possa sembrare banale mantenere un corretto allineamento all’inizio è incredibilmente difficile: questo perché il nostro cervello è progettato per ricercare sempre la posizione non dolente da mantenere e, insieme, più energicamente economica da mantenere.

Questo significa che inizialmente saremo in grado di sederci correttamente solo finché penseremo a mantenere quella posizione; non appena distoglieremo l’attenzione (per lavorare, ad esempio), il corpo tenderà a tornare all’atteggiamento più comodo.

Si rende necessario quindi lavorare per step, andando piano piano a “riprogrammare” il cervello sulla postura da ricercare in automatico.

  • Provate a sedervi comodamente su una sedia. Molto probabilmente per stare comodi sarete lievemente piegati in avanti, con la schiena interamente flessa in avanti.
  • Da questa posizione provate a portare indietro il sedere ed avanti il torace, anche esagerando il movimento e andando ad inarcare la parte alta della schiena.
  • Ora che siete sufficientemente scomodi, lentamente rilassate la porzione più alta della schiena finché non vi sentirete allineati, con la schiena dritta dal sedere fino alle spalle.

Questa è la posizione che dovrete cercare di mantenere: per aiutarvi, una volta assunta questa posizione, aggiustate tutta la vostra postazione lavorativa conseguentemente (computer, altezza della scrivania, documenti etc.).

 

 

Non è affatto semplice mantenere questa posizione, ma sarà nettamente più facile una volta che avrete posizionato correttamente il bacino seguendo gli step presentati sopra.

Seguire queste semplici regole vi aiuterà ad evitare fastidiosi dolori lombari che potrebbero influire negativamente sulla qualità della vostra vita. Si tratta di piccole abitudini che potranno portare grandi vantaggi per la vostra salute.

Se senti dolore è il tuo corpo che cerca di dirti qualcosa, non ignorarlo!

Nel nostro lavoro di terapisti capita spesso di chiedere ai nostri pazienti perché hanno aspettato hanno aspettato così tanto prima di farsi visitare. Tuttavia è estremamente comune attendere che il dolore ci blocchi prima di cercare aiuto. Vediamo perché è meglio non aspettare così tanto.

Un errore comune consiste nel credere che il dolore sia il solo indicatore di qualcosa che non va nel nostro corpo, e che senza di esso l’intero nostro organismo funzioni alla perfezione. Sarebbe fantastico se ciò fosse vero, ma la realtà è invece molto differente.

Il problema di questa idea è il supporre che tutto sia o bianco o nero: che vi sia solamente uno stato di salute o di malattia, senza nessuna zona grigia fra i due.

 

 

Il nostro corpo vive e si muove in un continuum dove, fatta eccezione per i traumi (una distorsione di caviglia durante una camminata, uno strappo muscolare durante uno scatto solo per nominarne alcuni), vi è un grande spazio fra la presenza di dolore e la sua assenza: il nostro corpo è in grado di sopportare situazioni di funzionamento non ottimale per lungo tempo prima di cedere al fastidio e poi al dolore.

Provate ad immaginarla in questo modo: state camminando in montagna e notate che i vostri scarponi si sono usurati e che andrebbero risuolati. Decidete comunque di continuare la passeggiata e sulla via del ritorno, dopo svariate ore in giro fra boschi e rocce, notate come le suole siano ulteriormente peggiorate e vadano decisamente fatte sistemare. Arrivate a casa, le riponete nella scarpiera ed andate a dormire, sperando che magicamente al vostro risveglio siano tornate come erano al mattino, se non meglio. Le scarpe la mattina dopo non si saranno risuolate da sole e, se non fate niente per aggiustarle, le prossime volte le ritroverete nelle stesse condizioni. La medesima cosa accade, in linea di massima e nei limiti di questa metafora, al nostro corpo.

Dipende da voi quando, nel passaggio dal benessere al dolore, decidere di occuparvene; considerate sempre che, come spesso accade, più si aspetta ad intervenire maggiore sarà il danno.

 

 

Per questa ragione vi sono molti modi per capire se la vostra spalla o il vostro ginocchio sono in perfette condizioni o meno, pronti a sopportare qualunque attività, oppure se hanno già qualche problema, che si manifesterà ampiamente non appena li metterete sotto sforzo.

Una spalla bloccata dal dolore è una spalla che ha mandato dei segnali per un certo periodo di tempo, che spesso vengono semplicemente ignorati pensando che alcuni fastidi possano sparire spontaneamente. Purtroppo invece, come spesso accade, i problemi si accumulano, diventando più impegnativi da gestire, lasciandovi col pensiero: “se solo me ne fossi curato prima, quando ancora non era così grave”.

Quindi se avvertite un dolore sospetto di cui non conoscete l’origine evitate di trascinarvelo dietro per un lungo periodo di tempo, riparare un danno può essere semplice se questo viene preso in tempo, perché aspettare troppo significa ridurre le percentuali di successo di una pronta e rapida guarigione.