Conflitto scapolo-omerale: cosa è, e come impedirgli di interferire con la vostra vita quotidiana

Il conflitto scapolo-omerale può causare dolore costante ed aggravarsi con attività anche banali, interferire con il riposo notturno e, a lungo andare, avere un impatto significativo sulle attività che amate svolgere. Vediamo da cosa è causato e come intervenire prima che ciò avvenga.

Il conflitto scapolo-omerale (noto anche come impiegment scapolo-omerale) è una condizione meccanica dove il tendine del sovraspinoso, uno dei tendini della spalla, viene schiacciato fra scapola e testa dell’omero, andando così a generare attrito e, a lungo andare, ad infiammarsi.

 

È una sindrome abbastanza subdola, in quanto difficilmente vi darà, almeno all’inizio, un dolore importante, e così facendo spesso passano molti mesi fra l’esordio dei sintomi ed i primi trattamenti efficaci.

Nelle sue prime fasi potrete sentire un fastidio non ben definito nella regione della spalla, potrete avere difficoltà a svolgere attività con il braccio in determinate posizioni così come a portare la mano più in alto della testa.

Con il passare del tempo il dolore diventerà sempre più presente, magari peggiorando dopo l’uso del braccio ed a fine giornata, ed andare a condizionare la posizione che assumete per dormire.
Ma come si arriva a questo punto?

Solitamente l’impiegment scapolo-omerale è secondario ad un trauma, sia locale sulla spalla che nelle immediate vicinanze (ad esempio un colpo di frusta in regione cervicale); tuttavia sono molto frequenti anche gli esordi spontanei, dati da numerosi fattori:

Meccanica scapolare impropria:                                                                                                                               La stragrande maggioranza dei movimenti della spalla non sono a carico solo dell’articolazione che immaginate, ma coinvolgono un complesso di più articolazioni che si dovrebbero muovere in sincronia. Un’errata cinetica della scapola nel suo scorrimento sulla gabbia toracica è spesso causa di infiammazione del tendine del sovraspinoso, in quanto, non collaborando correttamente al movimento, fa sì che la testa dell’omero vada precocemente ad “urtare” contro il margine osseo della scapola sovrastante.

 

 

Squilibri muscolari:
Gli equilibri fra i muscoli della spalla sono molto precisi e basta molto poco ad alterarli. Anatomicamente disponiamo di quattro forti muscoli in grado di ruotare internamente la spalla (grande pettorale, grande dorsale, grande rotondo e sottoscapolare) e solo di due in grado di ruotarla esternamente (piccolo rotondo e sottospinoso). Viene facile capire quindi
come non sia difficile avere una predominanza della rotazione interna su quella esterna, con conseguente riduzione dello spazio a disposizione del tendine del sovraspinoso.

Postura impropria:
Le posture che assumiamo quotidianamente (guidando, lavorando alla scrivania e, in alcuni casi, allenandoci) spesso ci costringono in posizioni che vanno a ridurre lo spazio di scorrimento del tendine del sovraspinoso: così facendo la guarigione spontanea diventa più improbabile e si facilita il mantenimento della sintomatologia.

Ma cosa fare quindi per iniziare a trattare questo dolore?
Una prima opzione è l’applicazione di ghiaccio sulla zona, in modo tale da ridurre l’infiammazione presente, nonché i sintomi.

 

 

Per dare sollievo al tendine decomprimendolo potete provare ad eseguire degli esercizi di pendolarismo: appoggiandovi su una superficie rigida (come può essere un tavolino) lasciate andare il braccio completamente fuori, rilassato, concentrandovi sul rilasciare tutti i muscoli sia della spalla che della scapola.

Questi suggerimenti tuttavia non si sostituiscono al parere di un esperto. Se i vostri sintomi non migliorano sarebbe opportuno prenotare una visita: il vostro terapista saprà trovare gli esercizi più idonei ed aiutarvi a ritornare ad avere una quotidianità priva di dolore.

Fisioterapia e fisioterapista, cos’è e cosa fanno?

Quando ci chiedono che lavoro facciamo, alla risposta “sono un fisioterapista” la prima reazione, che sia verbalmente esplicitata o meno, è: “ok, quindi fai i massaggi”.

Assolutamente no. O meglio: non solo. La professione del fisioterapista è più complessa e, per fortuna, variegata.

La fisioterapia, negli ultimi 10 anni, ha visto una crescita esponenziale (siamo passati da circa 5000 pubblicazioni scientifiche nel 2000 a 10000 nel 2010 fino alle oltre 16000 del 2016). Questo è successo grazie, da un lato, all’avanzare della ricerca ed a mezzi di cura più efficaci e, dall’altro, ad una base scientifica composta da ragionamento clinico ed evidenze sempre più solide e corpose.

Tutto questo, tuttavia, non sempre ha un riscontro diretto nella pratica clinica, ed è ancora fortemente radicata un’idea di trattamento vecchia di molti anni.

Non inefficace, semplicemente non la più efficace.

 

Ma di cosa si occupa, quindi, il fisioterapista?

Al momento, se prendiamo come esempio l’Inghilterra, dove la professione è fortemente rappresentata ed all’avanguardia in Europa, è possibile contare per la professione numerosi rami di specializzazione post laurea.

 

 

Riabilitazione ortopedica:

Fin qui nulla di nuovo; la branca più nota ed inflazionata della fisioterapia si occupa del trattamento delle problematiche del sistema muscolo—scheletrico. Lombalgie, esiti di traumi e di interventi chirurgici, lesioni muscolari, tendiniti e chi più ne ha più ne metta.

 

Fisioterapia sportiva:

Innanzitutto è necessario premettere che non si tratta di un semplice ramo della branca precedente. I fisioterapisti specializzati in riabilitazione sportiva non si limitano a trattare i traumi riportati dagli atleti, ma hanno una profonda conoscenza di numerosi tipi di sport e di quali problematiche possono più frequentemente insorgere in ciascuno di essi. In questo ambito, lo scopo finale non è solo la guarigione, ma il ritorno ad una performance atletica uguale o il più vicina possibile a quella precedente alla lesione.

 

 

Riabilitazione pediatrica:

E già qui in molti penseranno: “Wow, non l’avevo mai considerata!”. E invece esiste, ed è un’area tanto ampia quanto complessa del nostro lavoro.

I fisioterapisti che sono specializzati in questo ramo trattano neonati, bambini ed adolescenti affetti sia da patologie ortopediche che neurologiche tipiche dell’età evolutiva; come ad esempio: paralisi cerebrale infantile, spina bifida, difetti congeniti e ritardi di sviluppo, torcicollo e piede torto.

 

Riabilitazione geriatrica:

Specializzata nel trattare la fetta più anziana della popolazione, questa branca si occupa di migliorare l’aspettativa e la qualità della vita degli anziani, aiutandoli a mantenere uno stile di vita sano, preservandone l’attività e preparandoli alle sfide che l’invecchiamento riserverà loro.

 

Riabilitazione uro-ginecologica:

Assolutamente sconosciuta ai più, questa specializzazione si occupa dei disordini del pavimento pelvico come incontinenza, prolassi, costipazione e dolore pelvico sia nell’uomo che nella donna, siano essi insorti in seguito ad una gravidanza, con l’avanzare degli anni o con un intervento chirurgico.

 

Riabilitazione oncologica:

In che modo il trattamento fisioterapico può avere peso all’interno delle cure oncologiche? In molti modi in realtà: può accelerare ed ottimizzare il recupero dopo la chirurgia, può aiutare a risolvere gli edemi e linfedemi che si vanno a formare in periferia, aiutare a combattere la tossicità dei farmaci chemioterapici oltre che andare a migliorare l’elasticità e la funzionalità dei tessuti sottoposti (o in fase di esposizione) alla radioterapia.

 

Riabilitazione cardiorespiratoria:

“Riabilitazione respiratoria? E quando mai serve riabilitare la respirazione?”. Purtroppo nei casi in cui la produzione di muco sia eccessiva e tale da rendere impossibile respirare normalmente o quando i polmoni non sono sufficientemente elastici per espandersi. BPCO, fibrosi polmonare e fibrosi cistica sono solo alcune delle patologie trattate.

 

Riabilitazione neurologica:

Ultimo ma non per importanza, coloro che si dedicano a questo ambito sono preparati ad affrontare le sfide, non solo pratiche ma anche emotive, che comporta il lavorare con pazienti colpiti da patologie quali: ictus, lesioni midollari, patologie neurodegenerative sia centrali che periferiche.

Quella che abbiamo visto in questo articolo è solo una rapida panoramica delle possibilità che si hanno all’interno della nostra professione; prossimamente affronteremo più nel dettaglio le terapie che vi possono essere state proposte, delle quali avete sentito parlare o, in alcuni casi, di altre di cui nemmeno sospettavate l’esistenza.

 

Come mai tutto questo?

Prima di tutto perché riteniamo che sia importante informare coloro che usufruiscono dei nostri servizi e del ventaglio di opzioni terapeutiche che possono richiedere al proprio fisioterapista. Poi per fare chiarezza su cosa possiamo trattare e cosa no, e per avere un’idea se una terapia a cui ci siamo sottoposti risponde a standard qualitativi consoni. Infine speriamo di stimolare i nostri colleghi ad approfondire branche di studio magari meno note o sottovalutate.

Referenze: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=physical+therapy

Tre suggerimenti per gestire al meglio la cefalea

Tutti noi abbiamo sofferto, almeno una volta nella vita, di mal di testa o cefalea. Si tratta di una tipologia di dolore molto diffusa ma se però comincia ad interferire troppo spesso con le vostre giornate è il caso di prendere qualche provvedimento.

Esistono molti tipi diversi di cefalee, ma tutti hanno una cosa in comune: il potere di trasformare le vostre giornate migliori in incubi.

All’interno di questo nostro nuovo articolo affronteremo una delle cefalee più comuni, diffuse e fastidiose: la cefalea cervicogenica.

Innanzitutto: come riconoscerla?

Questo tipo di cefalea causa un dolore che tende a distribuirsi principalmente alla base della testa e intorno all’occhio, e peggiora con i movimenti del collo e che si associa a dolore alla palpazione della regione cervicale.

Purtroppo questo disturbo è molto frequentemente causato dalle attività lavorative: passare molte ore seduti alla scrivania, con poche pause e magari in un contesto stressante, può facilmente determinarne l’insorgenza.

Talvolta invece questa sintomatologia esordisce in seguito a traumi, e qua la fanno da padroni i colpi di frusta: siano essi dovuti ad incidenti stradali, come un banale tamponamento, o a traumi sportivi.

Ma ora che abbiamo imparato a conoscerlo meglio, cosa dobbiamo fare per alleviarne i sintomi?

Ecco alcuni suggerimenti che dovrebbero essere in grado di mitigarli nella stragrande maggioranza dei casi:

  • Automassaggio: uno dei gruppi muscolari solitamente più coinvolti nella cefalea cervicogenica è quello dei suboccipitali. Per trattarli, posizionate le mani aperte con i palmi adagiati lateralmente sulla testa, e con i pollici andate a cercare due minuscole protuberanze ossee che si trovano all’incirca sulla linea che unisce l’attaccatura delle vostre orecchie, quindi portatevi subito al di sotto: da questa posizione dovreste sentire sotto ai vostri pollici dei fasci abbastanza dolenti, se premuti. Massaggiateli mantenendo una pressione costante per circa una quindicina di secondi, rilasciate e ripetete 3-4 volte.

 

 

  • Retropulsioni: talvolta questa cefalea è una conseguenza indiretta di una debolezza dei muscoli anteriori del collo. Per rinforzarli, posizionatevi in piedi con le spalle e la testa appoggiati ad un muro e spingete con il mento indietro, come se voleste raddrizzare la vostra curvatura cervicale. Eseguite 15 movimenti per 4-5 volte, mantenendo per qualche secondo la posizione ottenuta.

 

 

  • Stretching: un altro modo per combattere il dolore è allungare i muscoli che lo causano. Posizionatevi seduti su una sedia, con la schiena ben dritta; con una mano afferrate la seduta o una delle gambe della sedia. Spingete la spalla bene in basso ed inclinatevi dal lato opposto sia con la testa che con la schiena. Se state eseguendo correttamente, dovreste sentire della tensione nella regione laterale del collo. Mantenete la posizione per 45” circa, ripetete questa operazione per 3-5 volte.

 

 

Già inserendo questa routine nella vostra giornata dovreste essere in grado di ridurre notevolmente sia il numero degli episodi di cefalea che la loro intensità del dolore; se ciò non fosse, o se per voi non fosse sufficiente, rivolgetevi al vostro terapista per avere informazioni più dettagliate e soluzioni ad hoc per il vostro caso.

 

Preso un brutto colpo di frusta? Ecco cosa fare

Negli ultimi anni i colpi di frusta sono diventati estremamente frequenti, anche a causa del sempre maggior tempo trascorso in auto. Vediamo cosa è di preciso e cosa possiamo fare per alleviarne i sintomi.

Cosa è un colpo di frusta? Molto spesso ignoriamo perfino cosa sia di preciso finchè non lo sperimentiamo sulla nostra pelle. Le cause possono essere innumerevoli: un incidente stradale, un trauma sportivo o un semplice scivolone, ma quello che tutte hanno in comune è il dolore e le difficoltà che esso causa e che difficilmente si dimenticano.

Quando si parla di colpo di frusta, facciamo riferimento ad un trauma che causa un brusco movimento della colonna cervicale; ciò può avvenire durante un incidente stradale, in un placcaggio durante una partita di rugby, ma anche con il semplice contraccolpo che si crea nello scendere le scale quando manchiamo uno scalino con il piede.

 

Colpo di frusta collo

colpo di frusta mal di collo

 

 

I sintomi più frequenti sono dolore localizzato e sensazioni come formicolio, caldo o freddo, o alterata sensibilità alle braccia o alle gambe; la severità di queste manifestazioni solitamente non è direttamente collegata all’entità del trauma, in quanto spesso subentrano numerose altre variabili, quali ad esempio:

  • problematiche pregresse al tratto cervicale:

se il vostro collo già vi stava mandando segnali di sofferenza prima del trauma, probabilmente quest’ultimo potrà avere esiti peggiori.

  • consapevolezza o meno del trauma in arrivo:

riuscire a vedere la macchina in arrivo prima che vi urti o accorgersi in anticipo del trauma imminente consente al corpo di prepararsi rapidamente ad assorbire e dissipare l’energia con le strutture muscolari, contraendole, evitando (o attenuando) così lo stress sui legamenti.

  • grado di attività fisica:

come nella stragrande maggioranza dei casi, avere un corpo allenato e reattivo consente di rispondere meglio al trauma, grazie ad un più efficiente scarico delle forze e ad una migliore elasticità muscolare.

Ma quando ormai il trauma è avvenuto, cosa potete fare per attenuarne i sintomi?

  • Fate degli impacchi caldi:

il caldo infatti aiuta la muscolatura a rilasciarsi, diminuendo così il dolore e lo spasmo muscolare.

 

Colpo di frusta torsione

 

  • Mantenetevi attivi:

sicuramente state provando molto dolore, e la cosa che vi verrebbe più naturale fare sarebbe distendervi sul divano e riposarvi finché questo dolore non cesserà. Questa non è la soluzione migliore: numerosi studi hanno dimostrato come, soprattutto nel primo periodo dopo il trauma, sia essenziale continuare a mantenere un minimo di attività. Il riposo e l’immobilità tendono a prolungare la permanenza del dolore: sforzatevi quindi di muovere il collo nelle vostre attività quotidiane, anche solo nei pochissimi gradi liberi che avete.

Automobilizzazioni:

se muoversi aiuta, allungare i muscoli che vi causano dolore è indispensabile per recuperare rapidamente:

  • mantenendo lo sguardo fisso davanti a voi, inclinate la testa lateralmente finché vi è possibile
  • appoggiate la mano sulla nuca dalla parte opposta alla direzione in cui state inclinando ed aiutatevi a scendere ulteriormente

 

colpo di frusta soluzioni

 

  • mantenete la posizione per 30” circa, ritornate lentamente centrali e ripetete dall’altro lato per un totale di 3-5 volte.

È normale che sentiate un po’ di dolore durante l’esecuzione, così come talvolta lievi formicoli alle mani; se però questi sintomi fossero eccessivi, interrompete l‘attività e riprovate solo successivamente.

È stato visto come traumi anche banali possano continuare a creare limitazioni e dolore anche a distanza di molti anni: per questo motivo è sempre bene, dopo un evento del genere, farsi controllare dal proprio terapista, in modo tale da essere indirizzati verso l’iter più corretto per voi.

Se senti dolore è il tuo corpo che cerca di dirti qualcosa, non ignorarlo!

Nel nostro lavoro di terapisti capita spesso di chiedere ai nostri pazienti perché hanno aspettato hanno aspettato così tanto prima di farsi visitare. Tuttavia è estremamente comune attendere che il dolore ci blocchi prima di cercare aiuto. Vediamo perché è meglio non aspettare così tanto.

Un errore comune consiste nel credere che il dolore sia il solo indicatore di qualcosa che non va nel nostro corpo, e che senza di esso l’intero nostro organismo funzioni alla perfezione. Sarebbe fantastico se ciò fosse vero, ma la realtà è invece molto differente.

Il problema di questa idea è il supporre che tutto sia o bianco o nero: che vi sia solamente uno stato di salute o di malattia, senza nessuna zona grigia fra i due.

 

 

Il nostro corpo vive e si muove in un continuum dove, fatta eccezione per i traumi (una distorsione di caviglia durante una camminata, uno strappo muscolare durante uno scatto solo per nominarne alcuni), vi è un grande spazio fra la presenza di dolore e la sua assenza: il nostro corpo è in grado di sopportare situazioni di funzionamento non ottimale per lungo tempo prima di cedere al fastidio e poi al dolore.

Provate ad immaginarla in questo modo: state camminando in montagna e notate che i vostri scarponi si sono usurati e che andrebbero risuolati. Decidete comunque di continuare la passeggiata e sulla via del ritorno, dopo svariate ore in giro fra boschi e rocce, notate come le suole siano ulteriormente peggiorate e vadano decisamente fatte sistemare. Arrivate a casa, le riponete nella scarpiera ed andate a dormire, sperando che magicamente al vostro risveglio siano tornate come erano al mattino, se non meglio. Le scarpe la mattina dopo non si saranno risuolate da sole e, se non fate niente per aggiustarle, le prossime volte le ritroverete nelle stesse condizioni. La medesima cosa accade, in linea di massima e nei limiti di questa metafora, al nostro corpo.

Dipende da voi quando, nel passaggio dal benessere al dolore, decidere di occuparvene; considerate sempre che, come spesso accade, più si aspetta ad intervenire maggiore sarà il danno.

 

 

Per questa ragione vi sono molti modi per capire se la vostra spalla o il vostro ginocchio sono in perfette condizioni o meno, pronti a sopportare qualunque attività, oppure se hanno già qualche problema, che si manifesterà ampiamente non appena li metterete sotto sforzo.

Una spalla bloccata dal dolore è una spalla che ha mandato dei segnali per un certo periodo di tempo, che spesso vengono semplicemente ignorati pensando che alcuni fastidi possano sparire spontaneamente. Purtroppo invece, come spesso accade, i problemi si accumulano, diventando più impegnativi da gestire, lasciandovi col pensiero: “se solo me ne fossi curato prima, quando ancora non era così grave”.

Quindi se avvertite un dolore sospetto di cui non conoscete l’origine evitate di trascinarvelo dietro per un lungo periodo di tempo, riparare un danno può essere semplice se questo viene preso in tempo, perché aspettare troppo significa ridurre le percentuali di successo di una pronta e rapida guarigione.